La rivoluzione francese

L'eredità della rivoluzione

L’EREDITA’ DELLA RIVOLUZIONE
Ecco un estratto della famosa “Storia dei Girondini”, scritta nel 1846 da Alphonse-Marie-Louis De Prat de Lamartine (nato a Macon nel 1790 - morto a Parigi nel 1869). Ci descrive, in uno stile eloquente, l’eredità della Rivoluzione francese:

La Rivoluzione francese non doveva durare che cinque anni. Questi cinque anni sono cinque secoli per la Francia. Mai forse, su questa terra, in nessuna epoca, dopo l’incarnazione delle idee cristiane, un paese ha prodotto, in così poco tempo, una simile eruzione di idee, di uomini, di natura, di caratteri, di geni, di talenti, di catastrofi,di crimini e virtù che durante questa elaborazione convulsiva dell’avvenire sociale e politico, a cui è stato dato il nome di Rivoluzione francese.

Né il secolo di Cesare e di Ottavio a Roma; né il secolo di Carlo Magno in Gallia e in Germania; né il secolo di Leone X in Italia; né il secolo di Luigi XIV in Francia; né il secolo di Cromwell in Inghilterra! Si disse che la terra, in travaglio per partorire l’ordine progressivo delle società, fece uno sforzo di fecondità comparabile all’energica opera di rigenerazione che la Provvidenza
ha voluto compiere

Gli uomini nascono come personificazioni istantanee di ciò che devono pensare, dire o fare. Voltaire, il buon senso; Jean-Jacques Rousseau, l’ideale; Condorcet, il calcolo; Mirabeau, la folgore; Vergniaud, lo slancio; Danton, l’audacia; Marat, il furore; madame Roland, l’entusiasmo; Charlotte Corday, la vendetta; Robespierre, l’utopia; Saint-Just, il fanatismo della Rivoluzione. E dietro loro gli uomini secondari di ciascuno di questi gruppi formano un fascio che la Rivoluzione stacca dopo averlo riunito, e da cui spezza uno ad uno tutti gli steli come degli utensili intaccati.

La luce brilla a tutti i punti dell’orizzonte. Le tenebre ripiegano. I pregiudizi indietreggiano. Le coscienze si liberano. Le tirannie tremano. I popoli si sollevano. I troni crollano. L’Europa intimidita prova a colpire, e, colpita, indietreggia per guardare da lontano questo grande spettacolo. Combattere a morte per la causa della ragione umana è mille volte più glorioso delle vittorie delle armate che succedono. Conquista al mondo inalienabili verità, al posto di conquistare ad una nazione precarie province. Esso amplia il domani dell’uomo, al posto di ampliare i confini di un territorio. Ha il martirio per gloria, e la virtù per ambizione. Si è fieri di essere di una razza di uomini ai quali la Provvidenza ha permesso di concepire tali pensieri, ed essere figli di un secolo che ha impresso l’impulso a tali movimenti dello spirito umano. Si glorifica la Francia nella sua intelligenza, nel suo ruolo, nella sua anima, nel suo sangue! Le teste di questi uomini cadono una ad una, alcune giustamente, altre ingiustamente; ma cadono tutte
all’opera. Si accusa o si assolve. Si piange o si maledice. Gli individui sono innocenti o colpevoli, commoventi oppure odiosi, vittime o carnefici.

L’azione è grande, e l’idea si libra al di sopra dei suoi strumenti come la causa sempre pura sugli orrori dei campi di battaglia. Dopo cinque anni la Rivoluzione non è altro che un vasto cimitero. Sulla tomba di ciascuna delle sue vittime, è scritta una parola che la caratterizza. Su una, filosofia. Sull’altra, eloquenza. Su questa, genio. Su quella, coraggio. Qui, crimine. Lì, virtù.
Ma su tutte è scritto: Morto per l’avvenire e
operare dell’umanità.

Una nazione deve piangere i suoi morti, senza dubbio, e non si consola per una testa sacrificata ingiustamente e odiosamente; ma non può rimpiangere il suo sangue quando è colato per far sbocciare delle verità eterne. Dio ha posto questo prezzo per far germinare e sbocciare i suoi disegni sull’uomo. Le idee vegetano di sangue umano. Le rivelazioni discendono dal patibolo. Tutte le religioni si divinizzano per i martiri. Perdonateci dunque, figli dei combattenti o delle vittime! Riconciliamoci sulle loro tombe per continuare le loro opere incompiute! Il crimine ha perso tutto mescolandosi tra i ranghi della repubblica. Combattere, non significa immolare. Togliamo il crimine della causa del popolo come un’arma che gli ha trafitto la mano e che ha cambiato la libertà in dispotismo; non cerchiamo di giustificare il patibolo per la patria, e le proscrizioni per la libertà; non induriamo l’anima per il sofisma dell’energia rivoluzionaria: lasciamo il suo cuore all’umanità, è il più sicuro e i più infallibile dei suoi principi, e rassegnamoci alla condizione delle cose umane.

La storia della Rivoluzione è gloriosa e triste come l’indomani di una vittoria, e come la vigilia di un altro combattimento. Ma se questa storia è piena di lutto, è soprattutto piena di fede. Somiglia ad un dramma antico, dove, mentre il narratore racconta, il coro del popolo canta la gloria, piange le vittime ed innalza un inno di consolazione e di speranza a Dio!


Fonte: “Storia dei Girondini” di Alphonse de Lamartine, Hachette, Furne et Jouvet, Perigi, 1870-1871, tomo 4, pagine da 354 a 356.




http://www.madamedepompadour.com/_luigiXVI