La rivoluzione francese

Riguardo la funzione e il potere del re

Ecco ciò che scriveva Jacques-Henri- Bernardin de Saint Pierre (1737-1814) riguardo la funzione regale, nella ristampa del suo” Desideri di un solitario” (Settembre 1789). Si esprime in particolar modo sul “ diritto di veto”:

Molti scrittori celebri considerano il potere nazionale della monarchia come suddiviso in due: in potere legislativo ed in potere esecutivo, attribuendo il primo alla nazione ed il secondo al re.
Questa suddivisione mi pare insufficiente, poiché manca un terzo potere, necessario a qualsiasi buon governo, il potere moderatore, che appartiene essenzialmente al re nella monarchia. Il re non è un semplice funzionario della nazione, un doge o un statolder; è un monarca incaricato di dirigere le sue operazioni. Il clero, la nobiltà e anche il popolo non vedono né intendono ognuno che delle parti distaccate dalla monarchia, di cui non sono che dei membri; il re ne è il cuore e lui solo può conoscerne e far muovere l’insieme.
I tre corpi della monarchia interagiscono senza posa gli uni con gli altri in modo tal e che, lasciati a loro stessi, arriverebbero presto alla situazione che uno tra loro opprimerebbe gli altri due, o ne sarebbe oppresso, senza che il re, che non avrebbe che il potere esecutivo, possa fare altra cosa che essere l’agente del partito più forte, il che vuol dire l’oppressione. E’ quindi necessario che il re abbia anche il potere moderatore, il che vuol dire quello non solo di mantenere l’equilibrio tra i corpi, ma quello di riunire le loro forze contro le potenze esterne, lui solo è a conoscenza dei loro affari.

E’ il potere moderatore che costituisce il monarca.
Gli scrittori di cui ho parlato hanno intravisto la necessità di questo potere nel re e hanno sollevato la questione se debba consistere in un semplice veto, come in Inghilterra, o in un certo numero di voti deliberativi, che gli sarebbero riservati come prerogativa regale.
Il veto è un potere d’inerzia, capace di far arenare i progetti migliori, occorre invece al re un potere attivo che possa farli riuscire.
Il cuore, nel corpo umano, non è mai privo di movimento: così deve essere il monarca nella monarchia.
Per quanto riguarda i voti deliberativi da riservare al re, si è fortemente combattuti sul determinarne il numero. Azzarderei qualche riflessione a tal proposito. Il numero dei voti nell’assemblea nazionale è di circa milleduecento, di cui seicento appartengono al clero e alla nobiltà e seicento ai comuni. Ora, se i seicento voti dei due primi ordini fossero uguali in ponderazione ai seicento voti dei comuni, come lo sono nel numero, ci sarebbe equilibrio tra loro, e il re non avrebbe bisogno che del suo solo voto per far pendere la bilancia dal lato preferito: che dico? Il ruolo del re che dispone di tutti i poteri è così preponderante per sua natura che trascina da solo tutti gli aaltri , come succede negli stati dispotici, non essendo a sua volta bilanciato.

E’ dunque inutile moltiplicare i voti del re nell’assemblea nazionale per dargli equilibrio, è sufficiente coservarglielo., ma è necessario riformare la bilancia nazionale stessa , per renderla suscettibile d’equilibrio. Nonostante le sue braccia siano uguali in lunghezza, non lo sono i suoi piatti in pesantezza.
Si può dire che quello della nobiltà è d’oro e quello del popolo di paglia. Il primo è talmente colmo di mitre , di cordoni, di dignità, di governi, di magistrature, di ricchezze, di benefici accordati già in eredità per l’avvenire, sebbene appartengano in origine alla dignità regale o allo stesso popolo, la bilancia ha sempre penduto da questo lato, malgrado gli sforzi che qualche re ha fatto per rialzarla.
Inoltre questo piatto non grava solamente per il proprio peso, ma per quello del potere regale, che attira dalla sua parte. Per riportare quello del popolo ad un equilibrio occorre o che il re renda il piatto plebeo più pesante , facendoci passare un certo numero di impieghi e dignità, o che aumenti la lunghezza del braccio, moltiplicando i voti dei rappresentanti del popolo nell’assemblea nazionale. Divenendo la leva plebea più lunga, il principe non avrà bisogno che del minimo sforzo per farla pendere, il potere moderatore diverrà nella monarchia quello che il peso fa correndo lungo la leva nella bilancia romana. Non è che per il numero dei suoi voti che il popolo, a Roma, bilanciava in equilibrio i voti dei senatori. Nel parlamento d’Inghilterra il numero dei membri della camera alta è non sale che a 245, mentre quello della camera dei comuni è di 540, il che vuol dire più del doppio.
Senza una proporzione equivalente mai la parte plebea potrà portarsi in equilibrio. Quando i seicento voti che la compongono saranno appoggiati dai voti dei ventiquattro milioni di uomini che rappresenta.; allora, anche se il suo piatto sarà leggero, divenendo il suo braccio infinitamente lungo, la sua reazione diverrà infinitamente potente. Questo momento di rivoluzione sarà quello in cui converrà al re riprendere il suo potere moderatore per ristabilire la bilancia monarchica.

Allora l’influenza monarchica sarà simile a quella del sole, che bilancia nei cieli i globi che ruotano attorno a lui. Ho desiderato più di una volta che il re percorresse tutti gli anni i suoi stati da un’estremità all’altra, come il sole visita ogni anno i due poli della Terra. I miei desideri sembrano prossimi all’essere esauditi : a dire il vero il movimento sarà diverso ma l’effetto sarà il medesimo. Non sarà il re che andrà dal popolo, sarà il popolo ad andare al re. Questo sistema politico è semplificato, comequello della nostra astronomia, lo si suppone, con molta verosomiglianza, non è il sole a girare attorno alla Terra, ma la Terra che ruotando su se stessa attorno al sole gli mostra a turno i suoi poli ghiacciati. Questo ordine mi sembra ancora più conveniente alle funzioni del re, che , dopotutto , non è che un uomo e deve spandere i suoi raggi sul popolo, ma ha anche bisogno di riceverne a sua volta.
Il re saprà dall’assemblea nazionale cosa accade nelle assemblee provinciali, dalle assemblee provinciali quello che accade nelle assemblee cittadine, dalle assemblee cittadine ciò che accade in quelle dei villaggi.
Gli uomini, come gli affari, circoleranno sotto i suoi occhi; dato che il paesano più infimo potrà essere deputato all’assemblea del suo villaggio, a quella del suo distretto, a quella della sua città, a quella della sua provincia e da quella della sua provincia all’assemblea nazionale.
Così grazie a questi passaggi, i deputati dell’assemblea nazionale potranno mostrare successivamente al re titti questi soggetti, come la Terra presenta al sole tute le parti della sua circonferenza.
Suppongo che le assemblee dei villaggi, delle città e delle provincie avranno luogo in tutto il reame, saranno sia permanenti che periodiche, il che vuol dire che si rinnoveranno ogni anno di un terzo dei loro membri, il che avverrà anche nel caso dell’assemblea nazionale, che deve essere il centro di tutte queste assemblee, dato che ci deve essere armonia in tutte le parti dello Stato.

Accordare la permanenza alle assemblee dei villaggi delle città e delle provincie e rifiutarla all’assemblea nazionale sarebbe come togliere la molla in cui le lancette piccole e medie sono in movimento.
Risulterà dalla permanenza dell’assemblea nazionale che nessuno corpo aristocratico potrà più mettersi tra il re e la nazione, e dalla periodicità dei suoi membri che non potrà mutarsi da sola in corpo aristocratico. Dato che il re ha diritto al potere esecutivo, non potrà essere approvata nessuna legge che non sia sancita da lui. E dato che detiene anche il potere moderatore, qualsiasi assemblea, essendo composta da due forze i cui interessi sono opposti, avrà sempre il potere di mantenere l’equilibrio.
Non può dunque né nelle sue azioni né nella sua durata arrecare ombra all’autorità regale.
Inoltre lei sola può facilitare le operazioni di buon governo ed è grazie a lei sola che gli interessi del re e del popolo si troveranno riuniti. Il re donando ai deputati dei comuni il potere di difendere gli interessi del popolo, dona loro nello stesso tempo quello di difendere gli interessi della regalità, che non sono altro che la prosperità stessa del popolo. E se Avvenisse ,come in passato, del disordine nell’amministrazione, il popolo non potrebbe accusarne il re, che gli dona il potere di vegliarlo e di proporgli dei rimedi. Possa quest’ordine così semplice, così naturale e giusto essere ammesso in tutti i governi del mondo, per la felicità delle nazioni e dei loro principi!
I gusti , i costumi, le mode, le discordie e le guerre passano da un regno all’altro; perché non dovrebbe essere lo stesso per la concordia e le buone leggi?
Possa per sempre Luigi XVI riceverne l’elogio che gli sarà dovuto dal suo stesso popolo. Possa ottenere la riconoscenza di tutte le nazioni e far rifulgere il motto glorioso ereditato dai suoi antenati, ma che lui ha meritato da solo, un sole illuminante più mondi , con queste parole “ Basta per tutti”. “ Nec pluribus impar!”.


Fonte” Voeux d'un solitaire ” di Jacques- Henri Bernardin de Saint- Pierre, nelle “ Opere complete...” di L.Aimé- Martin, nuova edizione riveduta corretta e ampliata, Parigi, presso P. Dupont, libreria, 1826, tomo II, pagine dalla 56 alla 62.




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