"Oscar de Incontrera: Connessioni nelle regioni Venezia-Giulia e Dalmazia nel mistero del Delfino di Francia"



Oscar de Incontrera

ADDENTELLATI GIULIANI E DALMATI NEL MISTERO DEL DELFINO DI FRANCIA (LUIGI XVII)

"Connections dans les regions; Venise-Giulia et Dalmatia dans le mystère du Dauphin de France (Louis XVII)"

In questa nostra città, in questa nostra regione, in cui tante pagine di storia sono state scritte in margine alla storia di Francia, dagli ultimi decenni del '700 agli ultimi decenni dell' 800, le "Règles pour écrire le latin", conservate presso la nostra Biblioteca Civica e di cui parlo in questo stesso volume dell' "Archeografo Triestino", non sono l'unico addentellato avente attinenza col mistero del Temple. Anche qui, e non poteva essere altrimenti, data la presenza di tanti emigrati sfuggiti agli orrori della Rivoluzione, sbocciò qualche leggenda sulla sopravvivenza di Luigi XVII e troviamo pure qualcuno di quei quaranta e più individui, che nei 50 anni susseguenti alla Rivoluzione si spacciarono, lungo le contrade di Europa e persino in America, per il Delfino evaso miracolosamente dalla prigione del Temple.

A differenza però di altrove, queste traccie nelle nostre terre sono sottili, difficili a scoprirsi, ma scmpre interessanti a seguirle, se non altro per la curiosità, che riescono a destare. Esse completano o meglio commentano in chiave romantica il quadro del giovane prosperoso emporio triestino, divenuto porto di pace e di nuova vita per un migliaio di emigrati francesi ed estremo rifugio e tomba d'esilio delle due vecchic figlie di Luigi XV, le Principesse Vittoria e Adelaide di Borbone. Premetto che alla tesi dell'evasione del Delfino daI Tempio non ci credo; la sorveglianza della prigione era troppo numerosa e rigorosa per renderla possibile. Meno che meno ammetto che il presunto evaso Lujgi XVII abbia potuto raggiungere la maggiore età o addirittura avere discendenza. Lo escludono le inaudite sofferenze materiali e morali subite da quel fanciullo, gracile sin dalla nascita, nei sei mesi in cui rimase affidato al calzolaio Simon e nei sei susseguenti mesi in cui fu lascialo letteralmente a marcire nella solitudine e nel sozzume, in uno stanzone privo di aria e di luce.

Nel 1799, quando arrivarono a Trieste, per qui morirvi, Mesdames de France, tra il loro seguito, composto di ben 80 persone, vi furono alcuni addetti ai bassi servizi che andarono a raccontare a più di un francese qui rifugiatosi, una storia assurda, ma che trovò qualche credito e destò qualche sensazione. Narrarono dunque che quando Mesdames Tantes erano partite da Parigi per Roma nel 1791, Luigi XVI e Maria Antonietta avevano loro affidato il Delfino, travestito da bambina e che a corte un sosia aveva preso. il suo posto. Il Principino -dissero - figurò essere la figliuoletta d'una delle dame d'onore delle Principesse e fu nascosto dalle Loro Altezze nell'intemo del palazzo che esse andarono ad abitare. Quando poi pervenne a Roma la notizia del supplizio, di Luigi XVI, Papa Pio VI aveva segretamente consacrato Re il bambino e per porlo più al sicuro l' aveva fatto partire per il Canada. Da allora nulla purtroppo si aveva più appreso di lui. Tutto fu organizzato, aggiungeva uno che voleva saperla più lunga degli altri, dai Cardinale Duca di York, Arciprete della Basilica di S. Pietro, l'ultimo degli Stuardi, arrivato a Trieste con altri personaggi vaticani, profugo da Roma occupata dai Francesi, con la stessa squadra navale con cui l'ammiraglio Nelson aveva fatto scortare Mesdames sino nella noslra città. L'eminentissimo porporato avrebbe fatto accompagnare il regale fanciullo oltre l'Atlantico da un avvocato scozzese di sicura fede. Questa ridicola fiaba. debitamente infiorata e con varianti più o mena. grosse, risusciterà sotto la Restaurazione nella bocca di più d'uno dei falsi Defini, quando racconterà ai molti creduloni le sue peripezie. Mesdames de France nella realtà, come è comprovato dalla loro corrispondenza, non mostrarono mai dubbi sulla morte di Luigi XVII e che questa non fosse avvenuta nella prigione del Temple,nella data pubblicata dal govemo di Termidoro e cioè l'8 giugno 1795. Le slesse "Règles pour écrire le latin" lo comprovano con il millesimo 1795, fatto apporre dalle due Principesse sul suo frontespizio.

Una delle loro cameriere, che però non giunse con esse a Trieste, Louiose Besson, moglie di Denis-Antoine Marco de Saint-Hilaire già "huissier ordinaire de la Chambre du Roi" e che divenne poi cameriera dell'Imperatrice Giuseppina, non volle credere mai alla morte del Delfino. Il 19 marzo 1633, su sua richiesta,fu posta a confronto con Naundorff, il più celebre dei falsi Delfini e lo riconobbe come Luigi XVII. Ma che serietà poteva avere la sua dichiarazione, se l'ultima volta ch'essa aveva visto il Principino era ne1791, quando egli aveva sei anni e l'uomo che le aveva ora di froute ne aveva circa 48 ?

Nelle tre edizioni, una divergente dall'altra, apparse a Londra nel 1832, 1834 e 1836, delle memorie di quesio famoso avventuriero prussiano, i cui discendenti si intitolano oggi Principi di Borbone e imbastiscono di quando in quando dei processi in difesa dei loro "diritti", affiora Trieste come il porto d'imbarco dell'evaso Luigi XVII, per rifugiarsi, assieme ai suoi curiosi protettori, negli stati della Chiesa oppure nel continente americano. Ecco il brano relativo che riassumo, cercando di far conciliare il racconto come appare nelle tre varianti versioni delle tre edizioni:

L'evasione sarebbe avvenuia il 10 giugno 1795, il giorno dei funerali del fanciullo del Temple. Rinchiuso nella bara del morticino, che invece si seppelliva segretamente nel gjardino della prigione, usciva da questa il Reuccio debitamente narcotizzato e che era stato tenuto nascosto nelle soffitte della torre, sin da quando Barras, il vincitore di Robespierre, l'aveva rimpiazzato, aIl' indomani del 9 termidoro, con un sosia muto e forse poi anche con un secondo sosia scrofoloso. La notte veniva estratto dalla bara, già chiusa nella fossa nel cimitero di S. Margherita e portato sano e salvo in casa della vedova d'una guardia svizzera caduta in difesa di Luigi XVI.

Dopo qualche tempo era stato fatto arrivare in Vandea, al quartier generale del solito conte de Frotté, il quale era riuscito con l'oro inglese a corrompere Barras, ma questi, dopo averlo tenuto nascosto per uno o due anni, lo aveva fatto espatriare in Italia, poichè il nascondiglio stava per essere scoperto dai giacohini o dagli agenti di Luigi XVIII. Giuseppina Beauharnais,la moglie del generale Bonaparte, l'antica amante di Barras, come fu di grande aiuto per realizzare l'evasione, lo fu anche per l'espatrio e trovò preziosi collaboratori in un altro suo ex amante il generale Hoche e nel generale Pichegru passato tra i fautori della monarchia e taciti consensi da parte del capo della polizia segreta del Direttore Barras, il volpone Fouché.

"Noi abbiamo percorso immense pianure -si legge nella terza edizione, nel discusso: "Abrégé de I'histoire des infortunes du Dauphin" -traversato delle foreste, oltrepassato dei ponti, senza fermarci da nessuna parte. Poi partimmo per Trieste, dopo aver trascorso alcuni giorni a Venezia e da là raggiungelnmo l'Italia,dove fummo protetti segretamente daI Santo Padre Pio VI".


Nella seconda edizione invece si leggeva semplicemente :

"Luigi XVII e i suoi accompagnatori passarono per Milano e Venezia e s' imbarcarono a Trieste. Durante la traversata soffrirono il mal di mare".

E nel prosieguo del fantasioso racconto. pieno di contraddizioni e mirabolante per le avventure che contiene e che sono degne del più frusto romanzo d'appendice dell' epoca, è scritto ancora che "in conseguenza degli incidenti avvenuti a Roma nel febbraio 1798", .Luigi XVII riparò a Trieste e sempre "sotto la guardia dei suoi protettori salpò da questo porto per l' lnghilterra.

"Non avendo però potuto sbarcare in quelle isole, data l'ostilità del govemo britannico nei suoi riguardi, si pensà di mandarlo nelle Antille".

Si stabili cosi per quattro anni nell' isola di Santo Domingo, a Léogane di Haiti, in una tenuta che Madama Bonaparte possedeva colà ancora dai tempi ch'era semplicemente madamigella Tascher de la Pagerie.

Nel 1797 veniva a stabilirsi a Trieste l'ex deputalo brettone ed ex consigliere di Stato Louis-Pierre.Nicolas.Henri Dufresne de Saint.Léon, assieme al suo nipotino di circa 12 o 14 anni, Jean François, figlio d'un suo fratello ghigliottinato. Nato a Rennes nel 1748, Dufresne fece a Trieste il "maestro di lingua francese e di disegno" e fu giudicato dalla polizia "un uomo esemplare e di ottima condotta). Quando il 7 giugno 1799 mori la Principessa Vittoria di Francia, egli fu uno dei quattro emigrati che a San-Giusto ebbero l'onore di trasportare la bara della defunta dal catafalco alla tomba vuota del canonico de Giuliani in cui fu calata. Ebbene, 19 anni più tardi, il 12 febbraio 1818, quel suo nipote Jean François ,si presento all' ingresso delle Tuileries, dicendo di essere il Delfino evaso daI Temple e che desiderava parlare con suo zio Re Luigi XVlIl, per farsi riconoscere grazie ad un segno particolare che aveva su una coscia. Condotto al corpo di guardia, fu arrestato, processato e mandato poi assolto perchè affetto di "alienazione mentale". Il vecchio Dufresne lo internò allora in un manicomio.

Il profilo di Jean-François Dufresne, che da giovanetto abitò per circa un lustro a Trieste, si trova affiancato ai profili di Jean-Marie Hervagault e di Mathurin Bruneau, in un rame edito nel 1818 e intitolato : "Les faux Dauphins").

Nella mia vasta monografia su "Giuseppe Labrosse e gli emigrati francesi a Trieste" e pubblicata negli otto precedenti volumi dell' "Archeografo Triestino" a puntate, ebbi a riprodurre due lettere da me rinvenute al caslello di Pontgibaud nell' Auvergne, tra i carteggi del conte Albert-François de Muré de Pontgibaud, divenuto a Trieste, nei 27 anni di sua residenza ( e qui morto nel 1824 ), il ricco negoziante e banchiere Labrosse.

Le lettere trattano della ventilazione ereditaria di Mesdames de France, di cui fu incaricato lo stesso Pontgibaud, ma parlano anche in termini reticenti di un misterioso ragazzo. Sono scritte dall'emigrato Vescovo di Nancy Mons. Duca de La Fare, divenuto a Vienna l'agente generale di Re Luigi XVIII, esule allora a Milau in Curlandia. Il Vescovo era il nipote prediletto di quel Cardinale Duca di Bernis, che quale Ambascialore di Francia aveva ospitato a Roma nella sua residenza daI 1791 al 1796 le due profughe figlie di Re Luigi XV.

Nella parte che. ci interessa, le due lettere citano il colonnello marchese de Mac Mahon, ch'era lo zio del futuro maresciallo Duca di Magenta ed uno dei collaboratori a Trieste della ditta Labrosse, composta tutta di ex ufficiali dell'armata emigrata del Principe di Condé. Citano ancora la Regina Maria Carolina di Napoli, soggiornante. allora a Vienna, la quale si prendeva a cuore tutto quanto le ricordava la sua infelice sorella, la Regina Maria Antonietta e il suo confessore abate Labdan, nonchè l'abate Le Roy, il quale sempre a Vienna, curava gli interessi finanziari di Luigi XVIII. Ecco il passo della lettera del 5 gennaio 1801 :

". ...Il piccolo ragazzo di cui tanto si interessa la vostra casa di commercio e per riflesso io stesso, sarà sicuramente e sistemato in uno o in un altro modo e in ogni caso nel modo migliore che giudicherò sia possibile ". .

Ed ecco quello della lettera del 25 aprile successivo :

"...Vi prego di voler ben dire al Sig. Marchese de Mac Mahon che ho ricevuto la sua lettera del 10 corr. e che ho visto il bambino raccomanodatomi da lui. Poichè in questo momento non mi trovo più in primo piano e non posso uscire, l' ho raccomandato personalmente al Sig. Abate Labdan, onde lo ponga sotto la protezione della Regina di Napoli. Su mio interessamenlo l'Abate Le Roy è stato in proposito già a conferire con l'Abate Labdan, e ha ottenuto dallo stesso le migliori assicurazioni. La questione però presenterà forse più di una difficoltà. Io da parte mia farò quanto sta in mio potere, ma vi devo confessare che allo stato attuale posso fare ben poco. ...".

Alludeva evidentemente al trattato di pace di Lunéville, imposto il 9 febbraio 1801 da Bonaparte vincitore all'Imperatore Francesco II e allo scioglimento forzato, allora in atto in Stiria, dell' armata di Condé. . E' azzardato asserire che i riportati brani epistolari riguardino l' argomento intricato e fascinoso dei falsi Delfini, tanto più che molti ragazzi sbandati, figli di ghigliottinati, di nobili morti in esilio o in combattimenti sotto le bandiere condeane, si videro errare per anni per le strade di Francia e dell' Europa e venire arrestati e condannati dai tribunali per vagabondaggio, per furti e altre malefatte.

Ad affacciare tale ipotesi però si potrebbe venire spinti dalla personalità del mittente delle lettere, quel Mons. de La Fare, che s' illuse che il Delfino potesse essere evaso. Questa sua convinzione è strana però se la rapportiamo alle altissime cariche ed incarichi che ebbe da Luigi XVlll. Nel 1799 negoziò il matrimonio della figlia di Luigi XVI col Duca d'Angouléme, figlio del fratello minore del re del decapitato e cioè del futuro Re Carlo X.

Alla Restauraziane presiedette alI' esumazione delle salme dei Re Martiri, divenne Elemosiniere della Duchessa d'Angouléme, Arcivescovo di Sens, Cardinale e Pari del Regno. Nel 1905 una parente del Cardinale de La Fare, morta nel 1829, scrisse a Henri de Grandvelle una lettera, che questi riprodusse nel suo volume su "L' évasion de Louis XVII". ln essa si legge che Sua Eminenza aveva persino confidato ai suoi nipoti dove viveva il Delfino, aggiungendo però che non pensava di rivelarlo mai a nessuno, sia in ossequio alla ragione di stato, sia perchè le sue .facoltà morali e fisiche erano state a tal punto annientate dalla prigionia che non sarebbe stato possibile presentarlo alla nazione.

Nella Messa che Mons. de La Fare celebrava quotidianamente nella sua cappella privata in suffragio a Luigi XVl, a Maria Antonietta e a Madama Elisabetta, egli non associava mai -dice ancora il de Grandvelle -il nome di Luigi XVII, "perchè lo riteneva vivo..." Ma sono proprio vere queste gravi e nette affermazioni della parente del Cardinale de La Fare, riportate da uno scrittore che propugna la tesi dell'evasione ?

Mi si permetta dubitarne, poichè nel dramma del Delfino non si contano le faIse attestazioni, le alterazioni ai propri fini di testimonianze di contemporanei, le lettere e documenti apocrifi e confezionati alla perfezione, in modo da non poterli discernere dagli autentici e gli stessi falsi Delfini, fabbricati su misura, a un determinato scopo politico. Giustizia n'è stata fatta nel corso del tempo d'una larga messe di questo materiale truffaldino, ma quanto resta ancora paludato di autenticità senza che si possa sceverarlo, cribrarlo, distinguerlo ?

Gli interessi intorno al mistero del Delfino sono stati tanti e tali sin daI ritorno dei Borboni conseguente al crollo napoleonico, che il denaro corse a rivoli e noi sappiamo la potenza persuasiva di questo. Si trattava allora di imbrattare il restaurato trono dei gigli con la più tremenda possibile accusa che si possa elevare . contro una Monarchia legittima e cioè, nel caso specifico, che il Principe assisosi sul trono era un usurpatore, poichè il figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta viveva ancora. Il fantasma del Delfino redivivo servi a lungo a speculazioni di ogni risma e colore e in ordine politico fu agitato volta a volta dai partiti repubblicano, liberale, bonapartista e radicale e in sede europea e funzione antifrancese dallo spionaggio e controspionaggio prussiano.

ln ogni modo, grazie ad un carteggio pubblicato da Ernest Daudet, sono in grado di dimostrare che Mons. Anne.Louis Henri de La Fare, almeno sino al 1798 credette ben poco alla sopravvivenza di Luigi XVII. Infatti il suo atteggiamento è del tutto negativo di fronte ad una lettera inviata, per suo tramite, dal Padre trappista de l'Estrange, il 18 dicembre di quell' anno. da Monaco

di Baviera, a Madame Royale, vivente allora a Vienna ospite di suo cugino, l'lmperatore Francesco Il. Nella lettera si legge che la madre Louise de L'Orme, superiora delle suore di Châlons sur Marne, gli aveva confidato per iscrilto che il Delfino era evaso dal Temple e lei l' aveva riconosciuto in un ragazzo che si trovava per tentato espatrio nelle carceri di quella città. Lei lo andava a trovare ed assisterlo spesso ed era persuasa della sua identità, data la sua rassomiglianza con i suoi reali genitori.

E per concludere veniamo ad un autentico falso Delfino vissuto dalle nostre parti e su cui si trova il seguente stelloncino nel "Journal d'Alençon" del 4 Luglio 1861:
" Verso il 1850 a Zara vi era un orologiaio, certo Trévison, il quale riusciva a ricavare ancora qualche risorsa per campare da un' impostura puerile, qualificandosi per il Delfino evaso daI Temple. Ora egli è morto in quella città della Dalmazia e le autorità fotografarono la sua salma ,e ordinarono una inchiesta."

Angelo de Benvenuti ci fornisce maggiori particolari su questo individuo nella sua "Storia di Zara daI 1797 al 1918", edita a Milano daI Bocca nel 1952. Anzitutto non si trattava d'un Trévison, ma di tale Giuseppe Trevisan, celibe, che viveva discretamente col suo lavoro di orologiaio. Mori a Zara il19 giugno 1861, a 76 anni essendo nato -secondo quanto diceva egli Stesso -nel 1785, l' anno di nascita del Delfino. Nessun documento certificava infatti il luogo e la data della sua nascita. Di lui dicevano coloro che l' avevano conosciuto, ch' era molto riservato, di modi distinti. di carattere mite. tenace nei propositi e incline ai lavori meccanici. "come Re Luigi XVI", al quale più d'uno lo trovava somigliante. "I pochissimi coi quali si era aperto, non nutrivano il minimo dubbio sulla sua identità" dopo aver ascoltato dalla bua bocca "con precisi particolari la fuga di Varennes"e "le sevizie di Simon",come documenti persuasivi mostrava "una fascia cilestrina alla matelot con fiocchi d'oro, simile a quella che aveva il Delfino in alcuni ritratti", "una forbice con corona reale e gigli e una moneta d'argento con I'effigie di Luigi XVI"

Ci vuole ben poco, corne vediamo. per alimentare Ia fantasia degli ingenui, del popolino, degli amanti infiniti del romanzesco e dell' inverosimile.

Si chiamava Trevisan, asseriva, perchè una signora dopo averlo portato da Parigi in Scozia, era venuta con lui in Italia e a Padova lo aveva affidato, assieme a dei preziosi e a denaro, ad una famiglia di tale cognome, che l'aveva adottato. Là aveva avuto come mentore Battista Poletti. In gioventù aveva abitato -raccontava - a Trieste e poi a Lussino, stabilendosi solo più tardi a Zara, da dove nel 1836, per sfuggire al colera, era riparato per un certo tempo a Traù. Da Zara s'era assentato ancora in prosieguo di tempo per recarsi una volta in Inghilterra e una volta a Costantinopoli

A Zara si raccontava che due volte erano venute colà per visitarlo delle persone dalla Francia e che egli riceveva copiosa corrispondenza che regolannente bruciava dopo averla letta e che egli si trovava in rapporti epistolari col Principe de Talleyrand che mori come sappiamo nel 1838.

Per lungo tempo si ripetè che sul letto di morte quell' uomo, che sempre aveva rnantenuto "il più scrupoloso riserbo" e che "non aveva nulla di comune con un impostore",era stato indotto daI suo medico curante a confennare di essere Luigi XVII, evaso miracolosamente dalla prigione del Telmple. Angelo de Benedetti, citando la " Voce Dalmatica" del 28 sellembre 1861, scrive che Nicolà Tommaseo. che aveva avvicinato il Trevisan, "non escludeva essersi trattato effettivamente di Luigi XVII". E ciò fa il paio con Silvio Pellico. che nelle "Mie Prigioni" ci narra del prigioniero, che potrebbe essere "lo sfortunato Duca di Normandia" (Luigi XVll), incontrato da lui nel carcere di S. Margherita a Milano nel 1820 e che in realtà era il falso Delfino Bourlon, tramutatosi più tardi nel falso Delfino " barone Richemont", la nota creatura d'una società segreta bonapartista, agente in Francia sotto la Restaurazione e la Monarchia di Luglio. La storia di Giuseppe Trevisan, io l'avevo appresa adolescente in una famiglia amica, da una signora zaratina quasi novantenne, che col marito Francesco Dancevich, un giudice distrettuale in pensione, e i tre figli, era venuta ad abitare. nella stessa casa dove abitavo io coi miei genitori. al n° 2 di via Pietro Nobile. La Signora Teresa Dancevich aveva inteso parlare della vicenda spesso nella sua famiglia, poichè vi si era interessato -mi diceva - il suo nonno paterno, il conte Noncovich di Narenta, un veterano delle campagne napoleoniche, che aveva servito poi Luigi XVIII e CarIo X ed era stato insignito da quest'ultimo della Legion d' Onore. Suo padre l'aveva più volte condotta nella bottega di orologiaio del Trevisan e quell' uomo più voIte aveva rievocato davanti a lei le avventure e vicissitudini da lui sofferte nella sua travagliala esistenza.

Quei racconti - aggiungeva la vecchia signora - non avevano a che fare col Delfino di Francia e cioè con quanto sussurrava la gente ed anche suo nonno intomo alI'origine di quell'orologiaio, ma la sua fantasia di ragazzina si sbrigliava nondimeno ascoltandolo e sognava di trovarsi forse davanti il povero Reuccio del Temple, sul quale aveva letto più di un libro, commovendosi sino aIle lagrime.

Misantropo, solitario, sena congiunti, senza amiei veri e propri, il Trevisan ebbe quando mori poveri funerali e poca gente segui il suo feretro; egli fu sepolto nella fossa comune. La signoro Dancevich, ehe aveva assistito a quei funerali, era, però convinta, quando la conobbi, che tutto si riduceva ad una romantica leggenda. Essa mi regalò una delle prime edizioni italiane, oggi molto rara e che conservo tuttora, del "Cimitero della Maddalena" del Regnault-Warin, l'edizione del 1801 e che figura stampata a Pe-king.

Mi dise che- quel libro essa l' aveva letto e riletto e s'era esaltata col suo racconto, come migliaia di altre fanciulle della sua epoca romantica, le quali erano sempre pronte ad impietosirsi sugli episodi della Rivoluzione Francese.

Come noto, quel romanzo del fertile autore del "Giulietta e Romeo" e della "Caverna degli Strozzi", è oggi caduto in oblio, ma fu diffuso a suo tempo in tutta l'Europa e tradotto in tutte le lingue.

Seduto tra le tombe del camposanto dei ghigliottinati, all' ombra delle "colonne senza capitelli" e del "peristilio senza intavolatura" dell' allora ancor "incompiuta chiesa della Madeleine", il confessore di Luigi XVI, il pio abate Edgeworth de Firmont. narra in esso, durante dodici notti, al commosso autore, il martirologio straziante di Luigi XVI e di Maria Antonietta e la mirabolante fuga daI Temple del piccolo Delfino, vittima innocente dell'astio giacobino. Col "Cimetière de la Madeleine" Regnault-Warin gettò nell'anno 1800 il seme della speranza della rinascita dei gigli dopo la bufera di sangue che li aveva recisi ma anche incosciamente produsse il germoglio da cui crebbe rigoglioso il mito della sopravvivenza di Luigi XVII.

E frutto di questo mito fu il sorgere di 40 e più falsi delfini, tra cui anche queslo di Zara, grazie al quale le nostre terre si inseriscono nel complesso e sempre avvincente mistero del Fanciullo del Temple.

Fin



BIBLIOGRAFIA

FONTI INEDITE

ARCHIVIO DIPLOMATICO DELLA CITTA' DI TRIESTE (presso la Biblioteca Civica).

ARCHIVIO Dl STATO -TRIESTE.

ARCHIVIO FAMILIARE DEI CONTI DE MORE DE PONTGIBAUD al Castello di Pontgibaud nell'Auvergne (Puy-de-Dôme).

ARCHIVO GENERAL DEL MINISTERIO DE ASUNTOS EXTERIORES : CONSULADO EN TRIESTE -MADRID.

COLLEZIONE PRIVATA DEL DEFUNTO BARONE RAYMOND DE JEAN-VROT -BORDEAUX.


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